“Sfida un campione!” A leggerlo così, sembra un simpatico slogan sportivo, ma in realtà è il titolo di un concorso della Durex, impegnata da anni a promuovere tra i giovani una corretta educazione all’affettività ed alla sessualità, si legge sul sito del progetto. A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, diceva un famoso politico italiano. Certo, non è bello avere l’abitudine di pensare male degli altri, ma nel caso del concorso di cui sopra, è davvero difficile non cedere alla tentazione; a parte il fatto che c’è da chiedersi quale possa essere il senso della parola “educazione”, ma soprattutto è quasi impossibile non pensare a secondi fini, visto che lo sponsor dell’iniziativa è l’azienda leader a livello mondiale nella produzione di preservativi. Il punto su cui vorrei soffermarmi però è un altro: è corretto continuare a chiamare questi e altri interventi simili, che sono sempre più diffusi nelle scuole, col nome di educazione sessuale, se il più delle volte essi si limitano a fornire istruzioni per l’uso? Non sarebbe più corretto usare parole come istruzione o informazione sessuale? Per Fabrice Hadjadj, filosofo francesco contemporaneo, “parlare di educazione sessuale di per se è problematico, perché la sessualità implica l’esperienza del desiderio e del suo eccesso”. Ora, per comprendere queste parole è necessario aver chiaro che il desiderio è molto più di un semplice bisogno fisico o materiale. Desiderare di stare con una persona con la quale abbiamo una particolare sintonia è profondamente diverso dal bisogno di mangiare un piatto di pasta per colmare il nostro appetito. La dinamica del desiderio va oltre la materialità e ci conduce sempre dentro la dimensione del mistero, dell’infinito, di ciò che ci trascende e ci è superiore. Non a caso l’origine della parola è legata alla mancanza della visione del cielo stellato (dal latino de-sidera, letteralmente assenza delle stelle). Non mi dilungo oltre su questo; chi volesse, potrà approfondire l’etimologia del desiderio e le sue implicazioni in questo articolo che ho scritto qualche settimana fa. Torniamo alle parole di Hadjad. Proprio per la sua intrinseca relazione con l’infinito, il desiderio si deve confrontare necessariamente con il rischio del suo eccesso. Fino a quanto posso desiderare una persona? Qual è il limite della mia azione nei suoi confronti? Dove finisce la mia libertà? È facile dire che la mia libertà finisce dove inizia la sua, ma concretamente, che cosa significa questa frase? E, nel caso della sessualità, esiste una soglia al di là della quale non ho alcun diritto di disporre dell’altro? E ancora, può esistere un diritto di disporre dell’altro? Queste domande probabilmente ci aiutano a comprendere il senso delle parole di Hadjadj: la sessualità non può essere identificata col bisogno di soddisfare una necessità, ma va inevitabilmente oltre. Per questo essa richiede di essere educata, orientata, riempita di senso. “Il desiderio sessuale – scrive il filosofo francese – non si educa così come ci si educherebbe alla matematica: non è una semplice forma di istruzione. Si tratta di un desiderio che ci fa sentire non più padroni di noi stessi. Questa esperienza di spossessamento chiede di essere vissuta pienamente, e qui si innesta l’esigenza dell’educazione nel senso di un accompagnamento del desiderio. Ma non per contenerlo, spezzarlo, diminuirlo, anzi: per andare fino in fondo”. È triste constatare, invece, come il più delle volte l’educazione sessuale si riduca a fornire istruzioni per l’uso, consigli sulla prima volta, suggerimenti su come farlo meglio, salvo poi aggiungere che comunque lo si faccia è importante prendere le precauzioni necessarie per evitare di incappare in malattie o gravidanze indesiderate. Ma educare vuol dire molto di più. L’etimologia della parola ci ricorda che significa condurre fuori, verso un obiettivo impegnativo, importante, da raggiungere per poterci realizzare in quanto esseri umani. Una educazione sessuale che ha come obiettivo prevalente il come far sesso nel migliore dei modi cercando di limitare i danni, non è un’educazione a misura d’uomo, perché esclude dal suo orizzonte la dimensione del desiderio, nel senso che abbiamo visto prima. Educare la sessualità, piuttosto, è aiutare i ragazzi a leggerla dentro una cornice di senso, una cornice nella quale si realizza l’incontro tra due persone, ciascuna delle quali è portatrice di un mistero insondabile. Educare la sessualità significa aiutare i ragazzi a rispondere a domande di senso: perché ci innamoriamo? Perché amiamo? Perché il nostro cuore innamorato sperimenta il desiderio di amare per sempre un’altra persona? E come è possibile che accanto a questo desiderio proviamo spesso anche la paura di legarci per tutta la vita con chi domani potrebbe non essere più la persona che conosco oggi? Qual è il senso di questa che sembra essere un’ambivalenza contraddittoria? Nei numerosi incontri che faccio ormai da alcuni anni, i ragazzi mi chiedono sempre risposte a domande come quelle che ho appena esposto. Ricordo ancora le parole di un tredicenne che, alla mia richiesta di lasciare su un foglietto una domanda anonima (dovevano essere indicati soltanto l’età ed il sesso) per l’incontro del giorno seguente che sarebbe stato proprio sulla sessualità, scrisse testualmente: “Ma se non sono stato io a volerlo, perché sono nato?” Riempire di senso la sessualità: questa è innanzitutto la meta che dovrebbe porsi ogni intervento di educazione sessuale. Riempire di senso la sessualità ed il suo intrinseco legame con la dimensione relazionale. Ignorare questo legame profondo comporta inevitabilmente un riduzionismo che finisce per impoverire l’idea stessa di sessualità. Da un lato, ed è quello che succede quando ci si limita a dare istruzioni per l’uso, la sessualità perde inevitabilmente la sua capacità di aprirci all’altro, di unirci, di relazionarci: diventa masturbazione assistita, per usare ancora parole di Hadjadj. Dall’altro lato, con un approccio a dire il vero sempre più raro, la sessualità viene soffocata da una cappa di regole e divieti morali che, anche in questo caso, finiscono per spegnerne la sua capacità di unirci all’altro. Riempire di senso la sessualità, educarla, orientarla, è un lavoro che può essere fatto solo se torniamo a considerare l’uomo come essere per sua natura relazionale, capace di realizzarsi pienamente nell’unione libera con […]
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