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Channel: relazione – La sfida educativa
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Ciò che mi sta a cuore è la tua felicità: volersi bene, volere il bene.

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Qualche giorno fa mi trovavo in una città del Nord Italia per incontrare un gruppo di genitori. Sulla locandina dell’evento c’era scritto che esso faceva parte di “un percorso di formazione e reciproco accompagnamento che ci aiuti ad essere genitori liberi, consapevoli delle sfide dell’oggi, certi della nostra funzione educativa e aperti ad un confronto che ci sostenga nel vivere con pienezza non solo le gioie, ma anche le inevitabili fatiche della genitorialità, così che esse non siano fonte di sterili frustrazioni, ma generative occasioni di crescita per tutti.” Ero stato invitato a parlare di educazione all’amore e mi è sembrato bene iniziare dalle ultime parole di quella frase, dall’idea che le gioie e le fatiche della genitorialità possano diventare generative occasioni di crescita sia per i genitori, sia per i figli. Che cosa vuol dire “generative occasioni di crescita”? Che cosa dovrebbero essere in grado di generare queste occasioni? Possiamo trovare la risposta a queste domande a partire proprio dall’etimologia del verbo generare, dal latino genus, che significa nascita, stirpe, discendenza. Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, nel loro libro Generativi di tutto il mondo, unitevi!, scrivono: “Generare fa parte di un insieme di termini quali ‘generosità’, ‘genialità’, ‘genitore’ che condividono la stessa radice genus (genere), la quale rimanda a significati quali partorire, germogliare, fabbricare. In sostanza, mettere al mondo. O, più estensivamente, dare vita, far essere.” Se generare ha questo significato, un’occasione generativa è allora un’occasione capace di far nascere nuove risorse, di dare vita nel senso più ampio del termine, ma soprattutto di dare un tipo di vita che porta in sé quella pienezza di senso capace di realizzare l’umano che c’è in ogni persona. E qual è quella realtà che rappresenta per l’uomo la più grande occasione di generatività, se non la relazione? È nella relazione infatti che l’uomo si realizza, incontrando e conoscendo pienamente se stesso, attraverso la conoscenza e l’incontro con l’altro: “Io divento io dicendo tu”, scrive il filosofo Martin Buber. Pensiamo a quelle relazioni che per noi sono particolarmente significative, come l’amicizia o l’amore; non costituiscono forse le esperienze principali attraverso le quali impariamo ad amare? Oppure pensiamo, in negativo, alla solitudine, che rappresenta l’antitesi della relazione e che probabilmente è la realtà peggiore che una persona possa sperimentare. Il pedagogista Antonio Bellingreri, per spiegare l’importanza dell’empatia, quella qualità che permette di comprendere e sentire il mondo interiore altrui come se fosse il nostro, usa delle parole molto belle che ci aiutano a capire quanto la relazione sia essenziale per una persona: “Se nessuno conoscesse i nostri pensieri e comprendesse il nostro sentire, saremmo consegnati ad una solitudine insuperabile”. La relazione ci rende pienamente umani, fa fiorire l’umano che c’è in ogni persona. È l’origine stessa della parola che ce lo rivela: relazione deriva dal latino relatus, participio passato del verbo referre, che significa portare indietro, riportare. Essa ci restituisce, attraverso l’altro, qualcosa di noi che solo l’altro può darci e che costituisce un elemento fondamentale per la costruzione della nostra identità. La relazione, tuttavia, ci umanizza solo se è fondata sull’amore, l’unica realtà capace di fare di noi un dono totale e gratuito a un’altra persona, condizione imprescindibile perché una relazione sia generativa. Quali sono i risvolti di queste considerazioni sul piano dell’educazione, ed in particolare dell’educazione all’amore? Riprendiamo il titolo dell’incontro ai genitori, che è pure il titolo di queste righe, ed entriamo nel merito di alcune parole che lo compongono: volersi bene, volere il bene. Che cosa significano concretamente queste frasi? Qualche anno fa chiesi ad un gruppo di ragazzi di dirmi ciò che li aiutava nel rapporto che avevano con i loro genitori; la maggior parte delle risposte furono abbastanza ovvie e scontate: mi trattano da grande, mi danno fiducia, posso parlare con loro di qualunque cosa, credono in me, non mi giudicano, e via dicendo. Solo una ragazza diede una risposta fuori dagli schemi: volersi bene ed essere affettuosi tra loro. Effettivamente, se ci pensiamo, noi impariamo ad amare nella misura in cui vediamo l’amore nelle persone care che ci stanno accanto e soprattutto se lo sperimentiamo a partire da qualcuno che ci ama incondizionatamente, solitamente i genitori. Sono i genitori – inizialmente la madre, poi il padre – che sono in grado di trasmetterci la certezza che la vita è bella e merita di essere vissuta fino in fondo. È l’abbraccio accogliente dei genitori che ci fa sperimentare l’unicità di essere chiamati per nome ad avere un ruolo attivo nei confronti della realtà. E se “il volersi bene” dei nostri genitori, e quindi la qualità della loro relazione reciproca, è un elemento fondamentale perché noi possiamo comprendere l’essenza dell’amore e integrarla nella nostra vita, è altrettanto vero che la nostra capacità di saper amare è condizionata inevitabilmente dalla relazione che i genitori intrattengono con noi. Quest’ultimo aspetto è di particolare importanza oggi, di fronte allo scoraggiamento che a volte prende i genitori quando la sorgente primaria dalla quale scaturisce l’educazione dei figli – la relazione tra di essi, il loro volersi bene – sia stata inquinata dalla ferita relazionale di quell’amore che ha permesso loro di mettere al mondo i figli. Sono sempre di più le famiglie toccate dalla ferita del divorzio o della separazione, ferita che lascia un segno non solo nella coppia ma anche nei figli, che subiscono la separazione dei genitori quasi sempre senza poter fare nulla per impedirla. Ma, pur nella sofferenza che un’esperienza del genere comporta, una relazione coniugale ferita o in alcuni casi addirittura morta non annulla mai la funzione genitoriale, che rimane per sempre: nessun essere umano sarà necessariamente padre o madre, marito o moglie, fratello o sorella, ma tutti, questo sì, siamo figli di qualcuno che ci ha messo al mondo, di qualcuno che ci ha generati, di qualcuno a partire dal quale prende forma, sempre, la costruzione del senso della nostra vita. Queste riflessioni valgono particolarmente per l’educazione dell’affettività e della sessualità, che spetta innanzitutto ai genitori; perché non si tratta di dare “istruzioni per l’uso” sul come […]

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