Il nostro mondo appare più vuoto se lo immaginiamo solo pieno di montagne, fiumi e città. Però sappiamo che da qualche parte c’è qualcuno che è in sintonia con noi, qualcuno con il quale continuiamo a vivere, sia pure in silenzio. Questo, e solo questo, fa sì che la terra sia un giardino abitabile. Molto spesso, quando si parla di amicizia, ci citano queste belle parole di Goethe. Eppure sono parole che vanno ben oltre il tema dell’amicizia. L’immagine del giardino abitabile è molto suggestiva e ci fa pensare ad un luogo nel quale nel quale è piacevole fermarsi. Un luogo bello, accogliente, pulito, armonioso, verde, rigoglioso. Un luogo che, secondo Goethe, diventa abitabile grazie a qualcuno che è in sintonia con noi, con il quale continuiamo a vivere. Qualcuno con cui siamo in relazione e con il quale viviamo l’esperienza forse più generativa che si possa fare. Per comprendere meglio queste parole, dobbiamo partire dal significato del termine “generativo”, cioè capace di generare. Questa parola ha la sua radice etimologica nel termine latino genus, che vuol dire nascita, stirpe, origine. La relazione allora non è generativa solo perché se coinvolge un uomo e una donna può dare origine ad una nuova vita ma soprattutto perché ogni relazione significativa è capace per se stessa di “dare vita, far essere“. In altri termini una relazione è capace di realizzare pienamente tutto l’umano che c’è in una persona. La relazione ha il potere di dare senso e pienezza alla vita di una persona. D’altra parte, se ci pensiamo bene, il senso della vita noi non lo troviamo mai in qualcosa ma in qualcuno con cui siamo in relazione. Pensiamo a quelle tre domande fondamentali che, prima o poi, ci facciamo nella vita: Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Ebbene, nelle risposte a queste tre domande c’è sempre qualcun altro, c’è sempre una relazione. La prima domanda, “da dove vengo?”, ci rimanda alla nostra origine, ai nostri genitori. La seconda, “dove vado?”, ci fa interrogare sul nostro futuro e nessuno di noi riesce a immaginarsi felice in un futuro di solitudine, senza la compagnia di qualcuno che dia pienezza alle aspettative del nostro cuore. E poi c’è la terza domanda: “chi sono?”. Come potremmo rispondere a questa domanda senza la presenza di qualcuno che, accanto a noi, anzi di fronte a noi, ci permette di dare forma alla nostra identità? Noi incontriamo e conosciamo pienamente noi stessi attraverso la conoscenza e l’incontro con l’altro: è quello che accade quando veniamo al mondo e siamo chiamati per nome da nostra madre e da nostro padre. Siamo fatti per la relazione, la nostra vita non avrebbe senso senza la relazione. Quando incontro i ragazzi di scuola media, chiedo loro di indicarmi una cosa che li rende veramente felici. Agli studenti del liceo, che hanno più esperienza sulle spalle, faccio la stessa domanda con parole diverse: Pensa ad un momento della tua vita in cui sei stato veramente felice… In entrambi i casi, nelle loro risposte c’è sempre la presenza di qualcun altro. C’è quella esperienza capace di realizzarci come esseri umani, cioè la relazione. La relazione, tuttavia, ci umanizza solo se è fondata sull’amore, l’unica realtà capace di fare di noi un dono totale e gratuito a un’altra persona. Solo se c’è il dono la relazione diventa generativa, cioè capace di generare vita. Senza la dimensione del dono, anche la relazione della maternità, che dovrebbe già essere generativa per se stessa, rimarrebbe sterile. Chi di noi vorrebbe sentirsi dire che il suo essere al mondo è stato frutto di un errore, di un gesto non voluto, di una costrizione? Noi sentiamo il bisogno di saperci frutto del dono reciproco che i nostri genitori si sono fatti nel momento in cui hanno fatto l’amore e noi siamo stati concepiti. Se così non fosse, la nostra vita stessa sarebbe segnata da una ferita che ci porteremmo, dolorosamente, per tutta la nostra esistenza. Si può pensare anche alla relazione di coppia: la logica del dono dovrebbe essere il fulcro su cui essa si regge. E invece, molto spesso, il paradigma dominante è “sto con te perché tu mi fai stare bene”: ma questo è il modello dell’innamoramento, centrato su di me prima che sull’altro, che mi fa dire più o meno inconsapevolmente “io sto bene grazie a te”. La relazione di coppia invece dovrebbe fondarsi su di un altro paradigma, perché essa possa essere generativa e durare per sempre: “io sto con te perché voglio il tuo bene, io sono felice se ti vedo felice”. Si tratta di un passaggio cruciale in una relazione, senza il quale essa difficilmente potrebbe crescere. Come fare allora per mettere il dono al centro di una relazione? Qualche anno fa, nel film che ha iniziato la saga di Kung Fu Panda, veniva pronunciata una frase che è diventata una delle più famose del film: “Ti preoccupi troppo di ciò che era e di ciò che sarà. C’è un detto: ieri è storia, domani è un mistero ma oggi è un dono. Per questo si chiama presente”. Sapevate che un modo di dire dono è anche presente? “Ti faccio un presente” significa letteralmente “ti faccio un regalo”. E allora uno dei modi per fare un dono di sé all’altro è quello di donargli il presente, l’oggi. Cioè il proprio spazio ed il proprio tempo, che non a caso sono le due dimensioni attraverso le quali si sviluppa una relazione. Dedicare tempo e spazio alle persone che amiamo è forse la cosa più bella e gratificante (e difficile) che possiamo fare. E proprio il condividere spazio e tempo con le persone che amiamo può costituire l’antidoto migliore a quella comunicazione povera che è entrata prepotentemente nelle nostre vite a causa di smartphone e social network. Mettere il dono al centro di una relazione vuol dire anche riconoscere l’altro come un mistero. Un mistero è ciò che è inspiegabile o inaccessibile alla comprensione, alla conoscenza, alla ragione umana. Nella nostra epoca l’idea di mistero […]
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